26° giorno di Sin’arim del 72° anno dalla liberazione dell’Ovest
Il ragazzino osservava l’uomo senza ombra e l’uomo senza ombra osservava il ragazzino. Per tutto il viaggio erano stati lontani e quasi casualmente non si erano nemmeno visti, ma da quando alloggiavano alla taverna “ il Cinghiale Rosso†incontrarsi era inevitabile. Da 4 giorni si studiavano. Il ragazzino era sospettoso nei confronti di chiunque e ancora di più verso quell’uomo senza ombra e con gli occhi visibilmente rossi. Dal canto suo l’uomo senza ombra sembrava interessato alla fronte del ragazzino, tanto da apparire indiscreto nel fissarla. Due piccole corna si facevano largo tra i capelli rossi e in mezzo alla fronte serpeggiava una spirale nera che pareva in rilievo, come se fosse stata impressa dall’interno.
Il ragazzino era seduto ad un tavolo a leggere un pesante tomo che si era portato dietro fin dall’inizio del viaggio, un tomo sull’evocazione, antico e prezioso, e l’uomo senza ombra stava in piedi in un angolo buio, appoggiato al lato dell’enorme camino che illuminava la sala lasciando in ombra solo i due cantucci laterali, dove il caminetto si congiungeva al possente muro di pietra. Domande di curiosità e tormento risuonavano nella sua mente, domande a cui non sapeva dare una risposta se non ponendosene altre.
Dal suo angolo buio Jarivar scrutava attento ognuno dei presenti, concentrando la propria attenzione sul ragazzino e sul capo-carovaniere che sedeva preoccupato ad un tavolo accanto al camino. Di fronte al solido Georg stava il vecchio mago, suo amico e consigliere. Ma i due non parlavano: la tempesta li preoccupava non poco. E preoccupava anche Jarivar, che sapeva non essere normale un tempo del genere in quella zona e in quel periodo dell’anno. Era poco più che autunno ma ai piedi della montagna che i popolani chiamavano “il Diadema†pareva inverno inoltrato.
Il piccolo Rickas leggeva il librone tenendolo appoggiato sul tavolo, muovendo silenziosamente le labbra come per carpire meglio i segreti lì riportati. In realtà non riusciva a concentrarsi; quanto ancora sarebbe durata la tempesta che lo teneva lontano da Darkhalls? Ancora qualche giorno e avrebbero dovuto proseguire il cammino verso sud, verso Malan, costeggiando le montagne e risalendo poi il fiume. Questo avrebbe allungato il ritorno di almeno dieci giorni. Oltretutto quell’uomo inquietante non faceva che osservarlo, senza nemmeno curarsi di non farsi notare. Parzialmente era come lui, forse come quella Aysha Meyer…quella che aveva preso il suo posto a Darkhalls…quella…quella che lui avrebbe rispedito alle origini.
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Il turno di guardia ai carri era quasi finito e Gròr Fortemartello non vedeva l’ora di rientrare nella locanda e bersi una buona birra accanto al camino. Socchiuse gli occhi e con l’immaginazione assaporò l’eccezionale birra nanica della sua città natale. Il suo pensiero andò a suo padre, sua madre, i suoi commilitoni e alla sua bella città . Gli imponenti palazzi scolpiti all’interno della montagna la rendevano diversa da tutte le città naniche. Loro non si erano limitati a decorare le sale vuote nel cuore della montagna, né si erano accontentati di vivere al suo esterno, come i pazzi di Krivij-Rig. No…loro avevano fatto di più: partendo dalle enormi sale scavate dal tempo avevano cesellato plazzi interi, addentrandosi ancora di più nella catena del Golg.
La nostalgia era ormai sua compagna da molti anni, e sapeva che la mesta signora l’avrebbe tenuto per mano per tutta la sua vita. Fortunatamente da qualche settimana riusciva a distrarsi chiacchierando con uno strano tipo, tale Jarivar; un uomo inquietante senza dubbio, ma dal cuore d’oro. Da quando però si erano fermati a causa della tempesta e alloggiavano alla locanda Jarivar appariva inquieto. Non come gli altri, che erano preoccupati per il clima insolitamente rigido; no, lui era turbato da qualcos’altro, qualcosa di cui non parlava con nessuno. Doveva riguardare quel ragazzino con le corna, evidentemente l’aveva messo di fronte al suo demone. Quello che si portava dentro, insomma. Gròr sorrise al pensiero che il suo nuovo amico credesse che nessuno si fosse accorto della sua natura. Ma come si può non notare un uomo senza ombra?
Eppure, dopo il primo tempo di diffidenza tutti avevano cominciato a stimarlo. Bè…non proprio tutti; solo quelli che avevano visto cos’era riuscito a fare quando Gròr era stato ferito nelle terre selvagge attorno a Faliman. L’aveva curato, e un uomo malvagio non può avere il favore degli dei e curare una persona a quel modo.
Così meditava Gròr, cercando di ripararsi dal freddo parandosi dietro un carro, insieme a due cavalli. Già , perché le stalle del villaggio non erano riuscite a contenere tutti cavalli della carovana, e molti erano rimasti fuori, frustati dal vento e infradiciati dalla neve. Finalmente erano venuti a dargli il cambio e lui sarebbe potuto andare ad asciugarsi accanto al fuoco. Gròr si avviò verso la taverna, sperando di avere notizie da Georg riguardo il da farsi. Sapevano tutti che non sarebbero potuti restare lì in eterno.
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Erian stava sdraiato sul morbido letto nella stanza della locanda e al contrario di tutti i suoi compagni di viaggio non era minimamente preoccupato per la tempesta. Nonostante fosse insolita avrebbe solo ritardato di un po’ l’arrivo ad Onarron, dove non lo aspettava nulla a parte la favolosa biblioteca del palazzo del governo, fornita dei più pregiati volumi di magia. E di certo, a distanza di pochi giorni, sarebbe stata ancora lì. La stanza era pulita e la cucina ottima; non poteva lamentarsi assolutamente di nulla, se non di qualche scocciatore che durante il viaggio cercava di conversare con lui. Cercava di stare il più possibile lontano dalla sala del camino, troppo affollata e chiassosa per i suoi gusti. Ogni tanto però si faceva vivo, più che altro per ricevere eventuali notizie sulla partenza o per scaldarsi vicino al caminetto.
Come tutte le sere prima di cena uscì dalla stanza portandosi dietro il libro degli incantesimi, scese le pesanti scale in legno che portavano all’osteria ed entrò nella sala comune, illuminata dal massiccio caminetto. Le facce erano sempre le stesse, e le azioni anche. Il vecchio mago e Georg stavano sempre allo stesso tavolo a discutere silenziosamente, con sguardi che, dopo tanti anni di viaggio assieme, avevano sostituito le parole. Il ragazzino con le corna era seduto da solo a leggere un antico libro a lui familiare…un libro su cui gli sembrava di aver studiato tanti anni prima…il nano e l’uomo senza ombra guardavano le altre guardie giocare ai dadi provvedendo a sedare le eventuali risse di gioco…gli altri passeggeri della carovana si riunivano in piccoli gruppetti, discutendo prevalentemente della tempesta e lamentandosi della conduzione della carovana. I mercanti, più avezzi ai lunghi viaggi e quindi agli inconvenienti, si avvicinavano a Georg in piccole delegazioni, per esprimere la loro solidarietà e proporre alternative. Alcuni bambini giocavano sul pavimento accanto al camino, attentamente sorvegliati dalle mamme che ricamavano chiacchierando in una sorta di solidarietà femminile.In piedi sulla porta si fermò ad osservare quella scena, il libro degli incantesimi stretto al petto e il cuore trafitto da una gelida scheggia. Odiò la tempesta. Odiò la carovana che si era fermata lì per tanti giorni. Odiò la Torre che gli aveva portato via l’infanzia. Odiò sé stesso.
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Non servivano le parole per capire ciò che Georg stava pensando. Il suo sguardo, per molti inespressivo nell’osservare la fiamma del camino attraverso il boccale di birra era per Balduran un segno eloquente. Erano ormai fermi lì da quattro giorni in attesa che la montagna placasse la sua furia, ma la tempesta si dimostrava sempre più rabbiosa e violenta.
Georg alzò lo sguardo verso i saggi occhi il suo venerando amico. “Sì, Georg, sarebbe troppo pericoloso.†Georg fissò nuovamente il camino, poi diresse ancora l’attenzione al vecchio mago, in cerca di risposte. “Sì, Georg. Lo so che ci cercano a Sud. E so che siamo troppo numerosi per passare inosservati.†Avevano scelto assieme quella strada, la strada della Libertà . Quaranta schiavi erano con loro, in attesa di essere liberati oltre la frontiera. Quaranta anime tra donne, bambini e ragazzi erano state acquistate a Kailic, e secondo il piano avrebbero dovuto recuperane altrettanti nella capitale. Ma qualcosa era andato storto. Le guardie erano informate de loro arrivo, e se non fosse stato per un solerte amico di Georg a quel punto sarebbero stati catturati e imprigionati nell’arena. A Nuril liberare uno schiavo era consentito, ma liberarne così tanto era considerato un atto rivoluzionario. E infatti questo era. La rivoluzione. La stessa che aveva coinvolto gli gnomi di Roywyn, gli uomini di Onarron, delle isole e di Ashan – tra i quali Georg – e che spingeva ognuno a combattere secondo le proprie possibilità . Georg, figlio di un ricco mercante di Ashan, una volta ricevuta l’eredità del padre aveva cominciato ad organizzare carovane fantasma, con le quali liberava gli schiavi che riusciva a comprare. Solo lui e Baluran sapevano che gli schiavi presenti nella carovana erano destinati alla libertà . E solo loro due sapevano che nelle pianure a Nord di Malan erano attesi dall’esercito per la confisca del carico e la loro esecuzione. Andare a Sud avrebbe comportato la morte di tutte le persone, mercanti e passeggeri, che si erano affidate a loro. A meno che…
Georg si guardò intorno; dopo tanti anni da capo-carovaniere aveva imparato ad inquadrare la gente e a ricordarsi tutte le facce. Nella sala comune c’erano quasi tutti; mancavano gli schiavi e le sentinelle di guardia ai carri e agli schiavi stessi. Finalmente con occhi decisi guardò il vecchio mago.
Il mago sorrise. Era la scelta giusta per tutti. Sarebbero partiti l’indomani verso il Passo della Vipera, mentre gli altri avrebbero continuato il cammino verso Sud. Senza di loro non avrebbero corso rischi.